Pierpaolo Agnoletti ha portato la Carnia Classic Fuji-Zoncolan alla Titan Desert 2015, in Marocco. Dal 27 aprile al 2 maggio il biker di Rivo di Paluzza ha partecipato alla decima edizione della manifestazione, unica gara a tappe in mountain bike prevista nel deserto, indossando la maglia con i loghi della Carnia Classic Mt.Fuji-Zoncolan e quello dell’ASD Carnia Bike, organizzatrice della gran fondo di ciclismo in programma domenica 30 agosto.
Agnoletti ha conquistato il terzo posto finale di categoria, risultando il migliore fra gli italiani presenti.
Proponiamo il suo “diario di bordo” per rivivere questa straordinaria avventura/impresa.
PRIMA TAPPA
Il nostro gruppo è formato da Fabrizio di Vercelli, Loca di Milano, Leonardo di Pisa, Valle di Milano, David di Como e Simone di Parma
La prima tappa è lunga 116 km; sono 36° assoluto, poi buco 2 volte dovendo smontare la ruota per montare la camera d’aria, ma non riesco a togliere la valvola. Valichiamo due montagne su piste di roccia e terra raggiungendo la quota di 2260. I paesaggi sono straordinari e nei villaggi che incontriamo il tempo sembra essersi fermato al medioevo. Alla fine sono arrivato 70° assoluto e 7° di categoria.
Dormiamo al campo a 1900 metri circa. Le tende sono da deserto e mangiamo tutti insieme in un tendone gigante pieno di tappeti . Tutti i giorni viene smontato l’intero villaggio e rimontato all’arrivo sucessivo. I bagni e le docce sono veramente incredibili Il vero problema è la polvere: ne siamo sommersi, in tenda, in gara dappertutto. Oggi ho assistito allo scarico dei borsoni dai camion: da capelli dritti! Appena arrivato ho dato 10 € ad un marocchino per farmi portare la borsa in tenda.
La giornata tipo si svolge così: sveglia alle 5, stretching, colazione alle 5.30. Poi si chiudono le borse, si prepara l occorrente per la gare, si prende la bici per gl ultimi controlli, si porta il borsone al camion per il carico, leggero riscaldamento in bici e quindi in griglia per la partenza, che avviene verso le 8.
Al ritorno della gara, sfiniti… Si va davanti ai camion per ritirare i bagagli, si raggiunge la tenda (la nostra è da tre posti ed è la numero 136), poi tra un crampo e l’altro ci si spoglia e si va a fare la doccia… fredda. Appena rivestiti si inizia a mangiare, successivamente si lavano bici, abbigliamento, guanti, borracce, calzetti eccetera. Appena possibile ci si stende in tenda per il primo vero riposo.
Poi si comincia a mangiare ad ogni ora. Il buffet è esagerato: tutti i tipi di pasta e di riso, zuppe, pollo, verdure bollite e non di tutti i tipi, frutta e dolci. Dimenticavo che mi hanno messo il materasso su un formicaio, no problem, perché un abitante del posto ha fatto una strada di zucchero fino al bordo tenda e quando le formiche sono uscite ha sguainato il flitt e le ha massacrate. Peccato però che poi non si poteva più respirare.
Verso le 21 si mettono più cose possibili nella borsa, ci si veste per la notte con maglioni cappellino calzetti eccetera, perché la temperatura arriva a 10 gradi.
Ho coniato una definizione per la tenda: tiene perfettamente il freddo e ancora meglio il caldo, visto che di giorno di sono 40 gradi ed è come entrare dentro al forno di casa.
SECONDA TAPPA
Sulla distanza di 112 km, tra colline e piani desolati infiniti con sassi e fossi (un paesaggio quasi desertico), mi piazzo 38° assoluto e 2° di categoria. All’arrivo mi ritrovo con il primo della mia categoria, ma non lo sapevo; abbiamo fatto metà gara insieme e comunque alla fine lui ne aveva più di me. Poi è iniziato il recupero bagagli e tutti i soliti riti, con l’unica eccezione che mi sono venute le piaghe nel sedere e sono costretto a rimanere disteso pancia a terra.
Domani tappa Marahton in totale autonomia, con sacco a pelo e zaino e il minimo indispensabile. Stasera bisogna quindi essere sicuri di prendere tutto quello che serve per due giorni.
TERZA TAPPA
Centodieci km in mezzo a paesaggi mozzafiato; passiamo dalle montagne verso il deserto ed incontriamo anche dromedari liberi al pascolo. Siamo partiti con sacco a pelo, materassino e zaino con camelback pieno d’acqua e tutto il necessario per stare fuori due giorni, un peso non indifferente.
Oggi sono partito a manetta, alle prime salite sono primo di categoria e infliggo alcuni minuti ai miei avversari. Mi ritrovo con un gruppo che in pianura fa a gara per chi va davanti a tirare
Al 2° CP sono 37° assoluto, ma poi succede il disastro: a 35 km/h prendo in pieno una pietra e mi cappotto senza nemmeno capire cosa mi sia successo. Sbatto il ginocchio riportando un leggero stiramento della schiena. Ci metto alcuni minuti per capire chi sono e quanti danni ho fatto! Rimetto la catena e riparto, ma si è rotto un attacco del pedale. Inizio a pedalare con un piede e a prendere a calci l’altro pedale per cercare di incastrare l’attacco. Mi ritrovo da solo controvento, poi in lontananza vedo un motociclista marocchino e provo a raggiungerlo per mettermi in scia ma il vento mi rimanda indietro. Dopo 15 minuti, nei quali stavo scoppiando, finalmente arriva da dietro un gruppetto dove ci sono anche due esponenti della mia categoria; mi metto in scia ed ancora frastornato cerco di riprendermi. Teniamo un ritmo non elevato, in quanto il vento ci soffia contro e la temperatura si stava alzando in maniera preoccupante. Dopo circa 4 ore e mezza comincio ad essere distrutto ed il caldo mi sta mettendo a dura prova. Mentre pedalo a testa bassa, pensando che a 55 anni bisognerebbe fare i nonni al parco, vedo l’arrivo dietro ad una roccia. Tutto il mio gruppo scatta, compresi i miei due avversari, lasciandomi con un palmo di naso.
Alla fine arrivo 47° assoluto e 3° di categoria. Dopo qualche minuto di scarico vado in infermeria a curare le ferite e mettere la crema per le piaghe del sedere, che stanno peggiorando ogni giorno. Dopo aver preso posto nel tendone dove dormiamo tutti insieme, con grande fatica mi spoglio e alla meno peggio mi lavo. Quindi inizio il rito del mangiare. Lavo tutti i vestiti, i guanti, i calzetti eccetera, poi mi metto in fila per gonfiare con il compressore del camion i materassini. Adesso siamo sotto la tenda con un caldo esagerato, con le gambe in aria a leccarmi le ferite cercando di scaricare la schiena dolorante e sperare che mi si sgonfi il ginocchio .
Comincio a pulire la catena della bici e tentiamo di smontare il pedale per sostituirlo, ma non c’è niente da fare. Ore 19 cena: ci mettiamo con il tavolo vista deserto e con un promontorio roccioso bellissimo. Menu a self service: due tazze di zuppa di verdure; piatto misto pasta, riso, arance e verdure; piatto misto carne, verdure, formaggio e arance; dolcetti secchi vari. Sono distrutto e quasi mi addormento sul tavolo Alle 20 briefing dove spiegano il percorso di domani e fanno vedere il filmato della giornata. Alle 21 crollo e mi infilo nel sacco a pelo, ma all’una mi sveglio con dei sassi sul materassino, che si è bucato: inizia la via crucis, cerco in giro qualcosa da mettere sopra il tappeto per non dormire sulle pietre ma non trovo nulla e dopo vari giri decido di spostare le pietre più grosse e riprovo a dormire. Ma è impossibile, ogni movimento mi provoca un dolore. Finalmente arrivano le 5 e inizia la giornata.
QUARTA TAPPA
Anche oggi alba bellissima. Alla partenza ci siamo spalmati tutte le parti scoperte, anche le orecchie, con creme ad alta protezione. È cominciato il deserto e io volo subito sulle prime dune. Le strade di sabbia si alternano da polverose a battute, con grandi solchi provocati dai camion; piste infinite con paesaggi impressionanti che alternano pianure a colline rocciose. Come sempre si parte a manetta; per le prime due ore sono con il gruppo dei primi, poi nelle piste molto sabbiose tra cadute e passaggi a piedi perdiamo il treno e rimaniano in tre, compreso il primo della mia categoria, e vincitore della tappa di ieri. A questo punto decido di fare la gara su di lui, ad un certo punto sembra che possa mollare perché lo stacchiamo in salita, ma dopo 10 minuti è ricomparso come una moto. A questo punto abbiamo iniziato a darci il cambio; in alcuni punti il vento soffia sempre più forte. Finalmente arriviamo ad un punto dove ti danno l’acqua; ci dissetiamo e riempiamo le borracce. Sono partito con 4 litri di acqua e ne ho presi altri 2, più quella che ho bevuto lì al volo. All’orizzonte non si vede nulla, solo pianure interminabili. Anche alimentarsi è un problema: non puoi mollare un attimo il manubrio e sopratutto non ti puoi mai distrarre. Arriviamo ad un lago salato e lo attraversiamo; ad un certo punto perdiamo le tracce e ci incontriamo con altri concorrenti. Dopo un avanti/indietro ritroviamo la pista e cominciamo a guardare con ansia dove è stato posizionato l’arrivo. Finalmente appare all’orizzonte qualcosa che sembra un accampamento; il mio competitor prova ad allungare, con le ultime energie rimaste cerco di tenergli la ruota e a poche decine di metri dall’arrivo lo supero e penso di essere finalmente primo! Dopo alcuni minuti, nei quali pensavo di morire, mi riprendo ed inizio a recuperare il borsone, poi porto la bici dal meccanico per una pulita ed un controllo. Mi spoglio e vado sotto la doccia vestito; quindi in accappatoio sprofondo nel materasso sotto la tenda. Metto della polvere per il recupero nella borraccia ma mi viene da vomitare; dopo mezz’ora decido di andare a mangiare qualcosa e a fatica mando giù un po’ di pasta e verdure. Arriva il loca e mi dice che sono terzo; gli dico che è impossibile e vado a controllare. Ebbene, il primo era spuntato dal nulla! Ed inoltre mi avevano messo anche dietro Diaz; vado dai responsabili del rilevamento cronometrico e con non poche difficoltà manifesto il mio disappunto. Alla fine vengo classificato secondo.
Vado all’infermeria, mi disinfetto le ferite del giorno prima e spalmo un quintale di crema sulle piaghe del sedere. Recupero la bici ed inizio a lavare quello che ho usato per la gara, poi la stendo e ricrollo nel letto.
Davanti al nostro accampamento si vedono in lontananza le famose dune alte oltre 100 metri e il tramonto è favoloso. Vado a controllare la classifica assoluta e scopro con piacere di essere 3° di categoria e 46° assoluto.
QUINTA TAPPA
Raccontare questa giornata è difficile, ma ci provo.
Questa tappa prevede il solo utilizzo del Garmin; la sera prima ci hanno consegnato il roadbook con le coordinate dei 4 CP passaggi obbligatori, dell’arrivo e dei 3 punti per il rifornimento idrico. Grazie al Loca carico il tutto sul Garmin del mitico Lucio; devo anche dire che tutti i giorni avremmo dovuto utilizzarlo, ma il percorso era segnato abbastanza bene e poi senza occhiali non ci vedo. Perciò la mattina panico… La mia strategia si basava sull individuare dei compagni di viaggio e sfruttare le loro tracce.
Finalmente ho dormito, sveglia alle 5 e dopo i soliti riti mi porto alla partenza. Essendo nei primi 50, parto in prima griglia ed oggi sono in seconda fila. Alle 8 si parte in mezzo ad un brulicare di jeeponi e mezzi da deserto, con l’elicottero che ci accompagna per i primi chilometri Dopo una ventina di minuti si entra nelle famose dune è già inizia il panico; io non riesco ad andare avanti, ma la gente passa da tutte le parti a destra ed a sinistra, ciclisti a perdita d’occhio, ognuno fa la sua traiettoria. Le mie gomme continuano ad affondare, sono costretto a camminare ed appena arriva in cima ad una duna prova a buttarmi in discesa, ma spesso cado. Poi finalmente, in una duna simile ad una montagna russa, prendo velocità, ma quasi in fondo cappotto a faccia in avanti in maniera impressionante. Mangio un sacco di sabbia che mi entra da tutte le parti. Per non farmi mancare nulla il camelback si apre e mi esce tutta l‘acqua; mi rialzo e riparto tra sabbia e acqua. Inizio a scalare le dune e a provare a pedalare; dopo un’ora circa riprendiamo le piste di roccia e sabbia, mi tolgo i guanti e provo a slacciarmi le scarpe, ma senza successo. Per paura di perdere il treno non metto neanche i guanti e con le mani bagnate ed insabbiate riparto. Passiamo in un villaggio abbandonato tutto costruito con sabbia nera, veramente bellissimo. Unico. Come pensavo, devo scegliermi i compagni; creiamo un gruppetto di una decina di unità, ma il ritmo è elevatissimo, guardo dietro ma non vedo nessuno. Panico: al primo bivio già la confusione regna sovrana e ci dividiamo in 2 gruppi. Io scelgo quello in cui c’è uno della Garmin, ma ci porta in mezzo al nulla. Dopo il Cp ci passa uno spagnolo che sembra una moto. Al bivio lui prosegue dritto e gli altri girano a destra: tiro a sorte e mi metto con lui. Con un italiano spagnoleggiante cerco di chiedergli se sa dove andare e mi fa segno di seguirlo; il ritmo è sempre alto, finalmente in lontananza vediamo il rifornimento idrico e mi rassereno. Riempio il camenbeck, le borracce, mi lavo le mani, metto i guanti e ripartiamo in mezzo al nulla. Ad un certo punto sulla destra vedo arrivare il gruppetto che avevo lasciato prima; dico al mio compagno di rallentare così da viaggiare insieme, ma mi fa segno che non gli frega nulla e aumenta l’andatura. Io faccio una botta di conti e decido di rallentare e farmi raggiungere. Subito mi chiedono se avevamo preso l’acqua, io gli rispondo di sì. Loro avevano saltato il rifornimento idrico ma comunque accelerano e cercano di raggiungere quello davanti. Io ed un altro, sfiniti, perdiamo terreno; mi chiede se gli do un po’ d’acqua, gli cedo la mia borraccia e gli dico di tenerla. Beve e si riprende; io mi metto in coda e cerchiamo di riprendere il gruppo, ma io comincio a perdere terreno. Allora lui rallenta per tenermi in scia e riusciamo a raggiungerli, ma dopo alcuni chilometri ci accorgiamo che il CP è più indietro e perciò cambiamo direzione. Da tutte le parti escono ciclisti, sembra un esodo. Formiamo un gruppo di una trentina di unità e si ricomincia a tirare. La temperatura supera i 40 gradi, davanti a noi sempre sabbia, sassi e cespugli. Raggiungiamo l’altro CP, ma sono sfinito; la tensione è altissima, non posso staccare un attimo lo sguardo da questa pietraia. L’assurdo e che sembra di essere sempre in salita. Le piaghe del mio sedere mi danno dei dolori allucinanti. Ad un certo punto il gruppo si divide nuovamente in due; ne scelgo uno, ma non ne posso più. Scegliamo una traiettoria completamente diversa e comincio ad avere qualche dubbio. Rimaniamo in tre, mancano 20 km interminabili, ci sono 43 gradi, l’arrivo comincia ad essere un miraggio, i piedi sono doloranti e pieni di sabbia. Quasi al limite del collasso, in lontananza individuiamo l’accampamento. Finalmente passiamo sotto l’arco: non riesco più neanche a muovermi, ma con grande sorpresa mi accorgo che una ventina di ciclisti che erano dietro di noi erano già arrivati. Preso dallo sconforto bevo un po d’acqua e mi trascino fino alla tenda; mi stendo sul pavimento vestito e dopo una mezz’ora, scalzo, vado a fare la doccia. Non riesco neanche a capire dove sono; i piedi e le mani sono doloranti ed il sedere e tutta una piaga. Rientro in tenda e mi stendo sul materasso per terra .
Dopo un po’ di tempo cerco le forze per andare a recuperare il borsone e ricrollo nel letto. Intanto arrivano i miei due compagni di tenda. Poi con grande fatica vado dal medico a farmi disinfettare un taglio al naso e tutte le varie ferite dei giorni scorsi. Decido di mangiare qualcosa, ma sono talmente stanco che mi viene da piangere e non riesco a mandare giù quasi niente. Vado a vedere la classifica della giornata: sono 66° assoluto e 3° di categoria
SESTA E ULTIMA TAPPA
Prima di tutto voglio scrivere alcune note come consiglio per chi volesse fare questa meravigliosa esperienza. Le cose più dure da sopportare sono la polvere in gara, in tenda dappertutto, il caldo esagerato del giorno ed il freddo della notte. La bici deve essere biammortizzata e le gomme da roccia ma scorrevoli.
Oggi sveglia alle 6 e dopo svariati colpi di tosse vado verso i bagni, accorgendomi con stupore che si apre uno spettacolo bellissimo: il sole si alza sulle dune e subito dietro al nostro villaggio c’è un campo di beduini con una decina di dromedari. La stanchezza si è diradata e dopo la colazione inizio i soliti preparativi. Quindi vado a fare alcune foto, poi alle 8.20 riscaldamento e alle 8.40 in griglia di partenza, che in pochi minuti si riempie. Mi raggiungano Jabier e Diaz, che mi salutano augurandomi “buena suerte”. Diaz fa anche una battuta scherzosa sul fatto che vado forte nonostante non mi depili le gambe…
Suona la tromba e si riparte a manetta. Finalmente il percorso è di nuovo segnato e la gara inizia percorrendo a ritroso la parte finale della prova di ieri. Dopo mezz’ora mi rendo conto che ieri avevo allungato di brutto il percorso zigzagando tra dune e rocce. Il ritmo è elevatissimo, cerco di tenere i primi trenta, ma dopo 20 km il mio sedere è in fiamme e decido di rallentare e portare a casa la pellaccia. Formiamo un gruppetto e procediamo ad una buona andatura, attentissimi a non commettere errori. Pietre, sabbia e cespugli sono sempre in agguato. Dopo i vari CP finalmente iniziano una serie di salite che mi consentono di pedalare in piedi e dunque allentare la pressione sulle mie dolorosissime parti basse. Quando ricomincia la pianura i miei compagni aumentano l’andatura io stringo i denti, ma Diaz molla: lo incito a stare con noi ma non ce la fa e molla Dopo alcuni minuti mi giro e non lo vedo più. Il ritmo è ancora elevatissimo e dopo una quindicina di minuti in quattro rallentiamo e procediamo in maniera più tranquilla. Passano i chilometri e comincio a pensare al piacere di arrivare e fami una doccia; mi sembra quasi incredibile. Intanto Diaz arriva con un gruppo sei/sette cislisti e ricomincia a tirare. Io non mi rendo conto di quanto manchi all’arrivo, ma ormai dovrebbe essere prossimo. L’ultima parte sulla pista di sabbia è esetnuante e la mia bici è quella che rallenta di più. Dopo vari tentativi per cercare traiettorie alternative. mi rassegno e cerco di dare il massimo per arrivare. Finalmente in lontananza la meta: Diaz allunga e io perdo qualche secondo, ma è finita!!!
All’arrivo c’è grande festa, dopo esserci ripresi tutti ci abbracciamo. Mi metto subito a cercare lo scatolone per imballare la bici; sotto un sole cocente recupero il borsone e cerco un posto all’ombra. Uno dopo l’altro arrivano anche i miei compagni di avventura ed insieme iniziamo, tra un racconto e l’altro, a smontare le bici .
All’appello mancano le Frecce del Nord, i nostri amici Riccardo, Simone e David, e dopo più di un’ora e mezza di attesa cominciamo a preoccuparci. Finalmente arrivano: Simone era partito con la diarrea, si era sentito male e i due baldi scudieri l’avevano assistito. Tutti insieme smontiamo, imballiamo e carichiamo bici e borsoni sui jeepponi messi a disposizione dall’organizzazione per portarci all’albergo, che dista 7/8 km.
LE PREMIAZIONI
Finalmente una doccia e la barba in un bagno vero. Poi tutti stesi a bordo piscina con birra in mano. Dopo qualche timido tuffo e qualche birra ci prepariamo per la cena di gala nell’hotel principale.
Arriviamo in questo meraviglioso albergo tra le palme e raggiungiamo uno spazio enorme, addobbato con tappeti e centinai di tavoli apparecchiati a festa.
Mentre sto mangiando, il presentatore al microfono dice: “Terzo classificato della categoria Senior: Pierpaolo Agnoletti”. Cioè il primo ad essere chiamato per la premiazione davanti a più di mille persone sono io! Mi consegnano il trofeo in pietr: che emozione! Arriva Diaz, secondo, e ci abbracciamo. Infine arrivato il vincitore Jabier: ci stringe la mano ed alza il trofeo tra gli applausi.
Dopo le foto torno al tavolo ed iniziano i brindisi con i miei compagni.
E poi finalmente a nanna in un super lettone!